a cura della Redazione di “Moto d’epoca”


La Yuma (la prima versione era però chiamata Juma) è una motocicletta stradale costruita dall’Aspes dal 1974 al 1982. L’idea di una 125 cm³ stradale nasce in Aspes all’inizio degli anni settanta, su spinta di Piermario Sorrentino, figlio del titolare della Casa di Gallarate. Insieme a Gianfranco Maestroni, tecnico in forza all’Aspes, creò nel 1971 una moto da competizione unendo un telaio in tubi al Cr-Mo a un motore preso da una Hopi da motocross, collaudata da Felice Agostini (fratello minore del pluricampione Giacomo).

Il progetto fu momentaneamente accantonato, per essere ripreso poco tempo dopo: in Aspes, infatti, ci si rese conto che sul mercato – dominato allora dal fenomeno delle moto da Regolarità – non era disponibile una 125 sportiva. Altro fattore che spinse verso la realizzazione della moto fu la richiesta della francese BPS di un modello che si prestasse alle competizioni per moto di serie, molto in voga Oltralpe. Il risultato finale fu presentato al Salone di Milano 1973, e la produzione partì, per il mercato transalpino, l’anno successivo (mentre in Italia la commercializzazione iniziò solo nel 1976).

La moto si presentava con una linea sportiva e aggressiva, cui contribuiscono sella monoposto, semimanubri, pedane arretrate e serbatoio allungato con cuscinetto. È inoltre leggera, pesando circa 95 kg. Il motore (monocilindrico a due tempi) ha caratteristiche da moto da competizione: “vuoto” sotto i 5.000 giri/min, dà il suo meglio a partire da 7.500 giri, potendo toccare gli 11.000, e spinge la Yuma a oltre 130 km/h. La tenuta di strada dell’Aspes è ottima, così come i freni (a disco all’anteriore e a tamburo dietro) e le sospensioni) e il cambio. Punti deboli della 125 cm³ gallaratese sono le vibrazioni eccessive, il consumo elevato e il prezzo: 1.085.000 L. nel 1976, quando la Malanca E2C Sport bicilindrica è quotata 909.400 L. e la Zündapp KS 125 780.000.

Nel 1978 la Yuma guadagnò un nuovo motore (dotato di una termica differente, sperimentata sulle Hopi da Cross) e i cerchi a razze, mentre l’anno successivo la sportiva Aspes si rinnovò con una sovrastruttura monoscocca in fibra di vetro che inglobava serbatoio, fianchetti e codone (restava comunque disponibile, a richiesta, il precedente allestimento). Con un motore da 19 CV a 10.000 giri/min, la Yuma poteva sfiorare i 140 km/h, confermandosi come la più veloce e più costosa ottavo di litro stradale sul mercato. Per tentare di risollevare una situazione aziendale sempre più traballante l’Aspes presentò al Salone di Milano 1979 una versione più tranquilla ed economica della Yuma, la Yuma ts.b, spinta da un motore derivato da un Minarelli da kart. Commercializzata dal 1981, la “ts.b” (o “TSB”) non riuscì ad accattivare i potenziali acquirenti, contribuendo ad accelerare la chiusura dell’Aspes, assorbita nel 1982 dalla Unimoto, azienda romagnola nata dalle ceneri della Milani.

La Yuma si dimostrò presto molto adatta alle competizioni: oltre ad essere la protagonista del Criterium Aspes Yuma, trofeo monomarca disputatosi dal 1977 al 1979 (sulla scia di un’analoga esperienza francese iniziata nel 1975) fucina di giovani talenti come Maurizio Vitali (vincitore nel 1978), Loris Reggiani (vincitore nel 1979), Fausto Gresini e Davide Tardozzi, si fece notare anche nelle gare in salita e all’estero, specialmente in Francia, dove grazie all’importatore BPS, le Yuma si dimostrarono pressoché imbattibili nella Coupe Promosport, campionato riservato a piloti debuttanti e moto di serie, che dominarono tra il 1976 e il 1983.

La Yuma montava un motore monocilindrico a 2 tempi molto potente. Cambio a sei marce, accensione elettronica, singolo freno a disco anteriore (ottimo, resistente e modulabile), tamburo posteriore che si rivela onesto, sospensioni ottime. Davanti è una forcella Samfis, in sostanza una Ceriani, e due ammortizzatori Corte&Cosso al posteriore. Il resto della dotazione era davvero simile alle moto “da grandi” del periodo e quindi vediamo cerchi in lega Grimeca, semimanubri Tommaselli e interruttori Cev, strumentazione con spie, contagiri e tachimetro/contachilometri Veglia Borletti dalla grafica moderna e ben leggibili.
Per vestito una bella monoscocca che copre il sottostante serbatoio benzina e scende fino a nascondere anche i pochi componenti elettrici e la scatola filtro aria.

Si nota il minuscolo sellino monoposto e una piccola mentoniera appena davanti al tappo della benzina. Dotazione unica per la categoria, l’ammortizzatore di sterzo sotto alla piastra inferiore della forcella. Il tutto è unito a una serie di lavorazioni e dotazione di minuteria più vicine a una moto artigianale che non a un prodotto industriale: facciamo riferimento all’alluminio usato per la plancia strumenti, le pedane sportive, i dadi autobloccanti usati senza parsimonia, antivibranti dove serve e in generale una notevole cura. Infatti il prezzo d’acquisto non è basso.
Il motore offre quello che promette, un bel tiro e uno scalino dell’entrata in coppia molto gradito oggi come allora. Poi una quantità di vibrazioni che oggi sarebbe inaccettabile e un consumo, se non da portaerei, almeno da incrociatore, unito a una fumosità di scarico imbarazzante. Ma tutto questo non importa alla Yuma, che resta quella che è: una piccola moto da corsa e non una semplice motoretta da diporto, senza possibilità di trasportare la fidanzatina (per quello c’era la Vespa).

Fonte : “autoemotodepoca” – a cura di Mario Berte