a cura di Luciana Gennari


Nullo il licenziamento intimato a chi, a causa di una malattia o un handicap, è costretto ad assentarsi dal lavoro più degli altri. In Italia, il licenziamento di un lavoratore disabile è consentito solo nel caso in cui questi non sia più in grado di adempiere alle funzioni per cui è stato assunto.

Tuttavia, per rendere valido il licenziamento, è necessario che il datore abbia prima esplorato tutte le possibili alternative di impiego del dipendente in altre mansioni disponibili all’interno dell’azienda, anche se di livello inferiore, purché compatibili con le mutate condizioni fisiche del lavoratore.

Questa verifica è nota con il termine di repêchage: essa indica l’obbligo per il datore di ricercare una soluzione alternativa prima di procedere con la risoluzione del rapporto di lavoro.

La Cassazione si è interrogata più volte se è discriminatorio licenziare un dipendente disabile per superamento del comporto. La questione ha trovato recentemente delle significative affermazioni a favore del portatore di handicap. Cerchiamo di comprendere cosa prevede la giurisprudenza in merito.

È noto che un lavoratore in malattia non può essere licenziato per la sua assenza, a meno che non ci siano motivazioni gravi e diverse dall’assenza stessa, come una crisi aziendale o un’infrazione disciplinare.

Tuttavia, il diritto alla conservazione del posto di lavoro durante la malattia è limitato dalla durata massima stabilita dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL).

Questo limite temporale è noto come periodo di comporto. Se la malattia si protrae oltre il comporto, il datore di lavoro ha la facoltà di licenziare il dipendente senza la necessità di fornire ulteriori giustificazioni.

Di recente, la Corte di Cassazione ha stabilito che, sebbene il periodo di comporto sia fissato uniformemente per tutti i dipendenti, è illegittimo prevedere la stessa durata anche per chi, affetto da gravi malattie o handicap, è costretto ad assentarsi più spesso per curarsi.

È il caso ad esempio di chi soffre di sclerosi o ha malattie oncologiche.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15282 del 2024, ha chiarito che le assenze dovute a condizioni legate alla disabilità di un lavoratore non possono essere contate nel calcolo del comporto, come avviene invece per le assenze di lavoratori non disabili.

Farlo costituirebbe una discriminazione indiretta. Pertanto, il licenziamento di un disabile basato sul superamento del comporto è ritenuto discriminatorio.

Secondo l’articolo 3, comma 3 bis, del D.Lgs. n. 216 del 2003, l’azienda è tenuta a prendere misure adeguate a prevenire una discriminazione diretta o indiretta.

Lo impone il diritto comunitario, direttamente applicabile allo Stato Membro. Tali misure, che non devono tuttavia costituire un onere particolarmente elevato per il datore, possono includere l’esclusione dal conteggio del comporto dei giorni di malattia attribuibili alla disabilità del lavoratore.

Il datore, una volta che sia reso edotto della condizione effettiva di handicap del dipendente, ha l’onere di attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia eventualmente derivanti dall’handicap noto.

Il dipendente che voglia, tuttavia, evitare il superamento del comporto può sempre convertire il motivo dell’assenza in ferie o in un eventuale congedo straordinario previsto dal suo CCNL.

Il datore non ha l’obbligo di ricordarglielo, né può negargli le ferie se non vi sono valide e contrarie ragioni aziendali.

Sulla stessa linea è il Tribunale di Milano che, con sent. n. 1257/2023, ha precisato innanzitutto che la nozione di handicap va riferita anche con riferimento a malattie di lunga durata aventi l’attitudine a incidere negativamente sulla vita professionale del lavoratore.

Ebbene, prosegue il giudice lombardo richiamandosi ai precedenti più recenti della Cassazione, il computo delle assenze per malattia connesse alla specifica condizione di disabilità, ai fini della maturazione del comporto del dipendente disabile, costituisce discriminazione indiretta.

La Corte, con ordinanza n. 9095/2023, ha infatti già detto che: «È nullo il licenziamento del lavoratore disabile per superamento dell’ordinario periodo di comporto previsto dal contratto collettivo di categoria, costituendo discriminazione indiretta la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, che trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio».

Se dunque è vero che è discriminatorio licenziare un dipendente disabile che superi lo stesso periodo di comporto previsto per un lavoratore abile, è altresì vero – argomento la Cassazione – che a quest’ultimo non può essere riconosciuto un semplice risarcimento ma la reintegra sul posto di lavoro.

Fonte : https://www.laleggepertutti.it – 4 Giugno 2024 – Autore: Angelo Greco


Luciana Gennari

Nata a Roma il 7 febbraio 1953Vive a Roma

Persona con Disabilità per Ischemia cerebrale. Mamma di tre ragazzi. Raffaello: il figlio dell’amore, il figlio del desiderio e il figlio della scelta. Simone il figlio del desiderio ha una gravissima disabilità dalla nascita. Francesco il figlio della scelta, di anni 30, con patologia schizofrenica (malattia invisibile), morto il 26 novembre 2021. Già Presidente della Consulta per i Diritti delle Persone con Disabilità – Municipio IX ROMA EUR – Comune di Roma, dalla sua istituzione nel 1999 ad oggi, fino alla morte del proprio figlio. In questa Rubrica si potrà parlare di disabilità motoria, sensoriale, intellettiva e mentale, perché farlo dà la possibilità a chi ci circonda di confrontarci ed aiutarci. Sarà un impegno prezioso per un gesto di servizio e di solidarietà autentica.

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