a cura della Redazione “Ars & Cultura”


Giosuè Carducci nasce il 27 luglio 1835 a Valdicastello, vicino Lucca, e fino al 1839 vive immerso nel meraviglioso paesaggio toscano della Maremma. Nella sua esperienza personale, questi anni in Toscana rivestono un ruolo fondamentale per la formazione della sua sensibilità: l’immagine di una natura incontaminata, energica e vitale accompagnerà tutta la sua produzione poetica.       

Gli studi universitari, gli Amici Pedanti e il Classicismo. Dopo i primi studi, nel 1853 viene ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa dove uscirà, laureato in Filologia, nel 1856.
Passando da Pisa a Firenze, negli anni successivi all’Università, partecipa agli incontri della società “Amici Pedanti” che si batteva per un immediato ritorno al classicismo della letteratura contro la modernità e le nuove idee del Romanticismo, un dibattito molto sentito in Italia all’epoca in quanto ogni intellettuale e letterato del tempo si schierava – e lottava – a favore o contro il classicismo in contrasto con le idee romantiche. Sua la frase: «Colui che potendo esprimere un concetto in dieci parole ne usa dodici, io lo ritengo capace delle peggiori azioni.»

In Italia, nonostante la diffusione di alcune delle idee romantiche circolanti in Europa nel corso dell’Ottocento, il classicismo non si è mai spento: l’educazione scolastica lo mantiene in vita e l’esempio di poeti come Monti, Foscolo e Leopardi garantiscono degli esempi autorevoli e dei modelli a cui rifarsi soprattutto per imitare il linguaggio aulico e latineggiante. A dispetto di questo, però, il classicismo ha assunto un aspetto stantio e chiuso: il mondo latino è divenuto solo un repertorio di figure a cui attingere e un linguaggio da imitare in modo sterile. Carducci invece ripropone un classicismo vitale ed energico che viene ad imporsi nella cultura italiana come un modello elevato di comunicazione poetica che si mescola con un grande bisogno di realismo. La poesia deve, attraverso un linguaggio e tematiche riprese dal mondo greco e latino, raccontare la realtà contemporanea senza introdurre elementi surreali o inquietanti come quelli del romanticismo. 

Metrica barbara: è così che Giosuè Carducci definisce i tentativi di numerosi poeti a partire dall’Umanesimo (e anche i suoi tentativi personali) di ripristinare la metrica greca e latina utilizzando però il linguaggio volgare.
La metrica è strettamente legata al lemma, alla parola, e risulta quindi difficilissimo applicare una metrica, pensata per una determinata lingua, ad un linguaggio del tutto diverso.    

Differenze tra metrica classica e metrica volgare. In cosa cambia la metrica classica rispetto a quella volgare? La lingua latina possedeva un elemento che in quella romanza – e quindi volgare – manca: la quantità vocalica. Succedeva cioè che in due parole identiche vi era la presenza di una vocale che, se pronunciata più a lungo o più velocemente, dava addirittura un significato diverso al termine. Il verso latino si basava proprio su questo, sull’alternanza di sillabe con vocali lunghe (quelle cioè che vanno pronunciate più a lungo) e con vocali brevi (quelle cioè che vanno pronunciate più velocemente). Il passaggio dal latino alle lingue romanze fa perdere la quantità sillabica e diventa importante, invece, la qualità delle sillabe: sono accentate oppure atone? Ecco allora che il nostro metro si basa non sull’alternanza di sillabe brevi o lunghe ma su sillabe con vocali accentate o non accentate che danno il ritmo al verso e a tutta la strofa.    

La riproduzione del metro latino tramite il ritmo. Carducci cerca di riprodurre il metro latino basandosi appunto su questo ritmo e non riportando in auge vocali lunghe o brevi (sarebbe stato un compito troppo arduo!) e i suoi migliori risultati si hanno in quelli che erano i versi classici più diffusi, ossia il pentametro e l’esametro che vengono riproposti senza rime. Questa scelta aprirà poi la strada al nuovo tipo di verso che si diffonde nel Novecento: il verso libero. Anche se nelle sue poesie Carducci elabora temi molto diversi fra loro, a seconda anche del periodo della vita che sta vivendo e degli orientamenti ideologici che, come abbiamo visto, adotta nel corso dell’esistenza, c’è sempre un classicismo di base nella sua opera che si esprime attraverso la ricerca di un’espressione armoniosa ed equilibrata che renda chiaramente la realtà circostante senza le fantasticherie romantiche.  

L’esaltazione del paganesimo. Attraverso le scelte retoriche e al lessico classicheggiante Carducci recupera inoltre i temi della cultura pagana che, soprattutto negli anni del giacobinismo, vengono presi come una liberazione dai vincoli di ogni superstizione religiosa e come esaltazione della forza del popolo nel processo politico. Tutto ciò si esprime nell’operetta Inno a Satana che, pubblicato nel 1863 destò molto scalpore e polemiche.
Fra le altre opere che meglio rappresentano il classicismo carducciano dobbiamo ricordare soprattutto le opere giovanili: JuveniliaLevia GraviaGiambi ed Epodi. Qui Carducci parla in tono satirico, e quindi critico, della realtà contemporanea che tanto lo delude contrapponendola alla gloriosa antichità pagana: c’è una dicotomia forte fra virtù del passato e mediocrità del presente.  

Rime nuove

La raccolta più ampia, composta tra il 1861 e il 1887. Virgilio, Orazio, Foscolo e Leopardi come modelli. È questa la più ampia raccolta delle poesie di Giosuè Carducci, composte e raggruppate fra il 1861 e il 1887. In nove libri vengono a confluire anche liriche che figuravano inizialmente nelle raccolte giovanili insieme a componimenti composti nel corso degli anni. Possiamo osservare in questo modo tutta l’esperienza carducciana nella sua globalità: i primi tentativi “barbari” che figurano in minima parte accanto ai componimenti compresi nel quarto libro dal titolo Primavere Elleniche in cui viene messa in luce la bellezza classica, armoniosa e statuaria, quasi fuori dal tempo; modelli di questa sezione sono i poeti classici Virgilio e Orazio, ma anche poeti moderni come Foscolo (soprattutto delle Grazie) e Leopardi.
Si arriva a lasciare spazio, poi, ad una poesia più familiare e intima, dove si notano quegli scorci della Maremma toscana a lui tanto cari (celebre è il sonetto Traversando la Maremma toscana) e il tema dell’amore (e degli affetti in generale) che si fonde con quello della morte che incombe costantemente su ogni anima.   

Fonte : “FocusStoria” e “Studenti.it”