a cura della Redazione “Jazz and Jazz”


John Laird Abercrombie ( 16 dicembre 1944 – 22 agosto 2017 ) era un chitarrista jazz americano. Il suo lavoro ha esplorato la fusione jazz, il jazz libero e il jazz d’avanguardia. Abercrombie ha studiato a Berklee College of Music a Boston, nel Massachusetts. Era noto per il suo stile discreto e il suo lavoro con i trii di organi.

Da oltre quindici anni John Abercrombie è stato fra i protagonisti del jazz elettrico, anche se il suo nome non appare spesso in vetta alle classifiche di vendite fusion. Forse sarà per colpa del suo carattere lontano dall’esibizionismo o della sua musica che ha sempre evitato concessioni ai gusti commerciali. Fatto sta che John ci appare tuttora sottovalutato pur essendo tra i chitarristi più raffinati sulla scena americana.

Scorrendo il suo fittissimo curriculum, lo troviamo in molte fasi chiave della storia del jazz-rock: precursore di quello stile elettrico con i fratelli Brecker e Billy Cobham nella band Dreams, poi al fianco di Gato Barbieri, Gil Evans, David Liebman e Barry MIles. Il momento di maggiore notorietà tra il ’73 e il ’75 è nella band di Billy Cobham, dove John segue le orme di Mc Laughlin con uno stile acido e velocissimo (le testimonianze spettacolari fino all’eccesso sono i frenetici LP “Crosswinds”, “Total Eclipse” e “Shabazz”).

Nel 1975 vede la luce il suo primo album solista per l’ECM. Sotto il titolo “Timeless” è riunito un formidabile trio propulsivo (con la batteria incontenibile di Jack De Johnette e Jan Hammer scatenatissimo al mini-Moog e organo), che rivisita in chiave più scarna ed essenziale i furibondi duelli della Mahavishnu Orchestra.

Negli anni successivi Abercrombie entra stabilmente nel quartetto di De Johnette con cui realizza quattro album molto interessanti, affinando ulteriormente il suo stile. Proprio il batterista caposcuola e il contrabbassista Dave Holland sono suoi complici nella formazione del trio Gateway, firmatario di due bellissimi LP tuttoggi punto di riferimento per i trio chitarristici.

Il progressivo avvicinamento a uno stile più intimista con sonorità più morbide, conduce Abercrombie a collaborazioni molto raffinate con il maestro dei chitarristi acustici Ralph Towner (i due splendidi gioielli “Sargasso Sea” e “Five Years Later”); nel frattempo il nuovo quartetto di John, con Richie Beirach, Peter Donald e George Mraz si inoltra sui sentieri di una delicata esplorazione armonica, testimoniata da tre dischi per l’ECM. L’album che riporta in primo piano Abercrombie è “Night”, realizzato con gli amici di “Timeless” Jan Hammer e De Johnette con l’aggiunta del sax speciale di Michael Brecker. Ma la nuova giovinezza stilistica di John sboccia dall’incontro con il batterista Peter Erskine, avvenuto per la registrazione dell’album “Un Poco Loco” di Bobby Hutcherson; da questa collaborazione nasce l’idea di dar vita ad un nuovo trio con il bassista Marc Johnson, fondatore dei Bass Desires. La formazione realizza tre dischi e numerosi concerti: a partire dal primo album “Current Events” ricco di spunti interessanti e di qualche aspetto ancora in rodaggio, l’intesa si consolida benissimo con il successivo “Getting There” arricchito anche dalla presenza del sax di Brecker, per diventare assolutamente perfetta nel recente “Live”.

ll sodalizio tra i tre amici è così forte che Erskine li vuole al suo fianco anche negli ultimi due suoi album solisti “Transition” e “Motion Poet”. Dal canto suo Abercrombie colleziona collaborazioni illustri, tra le più recenti vorremmo ricordare i due pregevoli dischi di Danny Gottlieb “Aquamarine” e “Whirlwind”; mentre nella lista dei virtuosismi spettacolari è da annotare il divertente LP “Solar” in coppia con John Scofield (una buona occasione per confrontare i punti di contatto e le differenze tra due stili affini, eppure profondamente personali).

Abercrombie dedica buona parte del 1989 ai tour del trio con Peter Erskine e Marc Johnson, che tocca la nostra penisola proprio nel periodo del Festival Umbria Jazz e della rassegna Jazzman a Milano. Mentre l’esibizione di Perugia conquista tutto il pubblico e la critica, a Milano manca quell’interplay magico che solitamente contraddistingue la formazione: per il piacere del pubblico rimangono i virtuosismi pregevoli (anche se un pò egoisti) di Abercrombie e Johnson, mentre Erskine giostra per conto suo, riservando i numeri più spettacolari per qualche altra serata.

Abercrombie ha continuato a girare e registrare fino alla fine della sua vita. Ha anche continuato a pubblicare album sull’etichetta ECM, un’associazione che è durata per oltre 40 anni. Come ha detto in un’intervista, “Vorrei che le persone mi percepissero come un legame diretto con la storia della chitarra jazz, mentre espandevano alcuni confini musicali.”

Nel 2017, Abercrombie è morto per insufficienza cardiaca all’età di 72 anni.

Fonte : “GuitarClub”