a cura della Redazione di “Arte e Cultura”


Leonardo agli inizi degli Anni Ottanta del Quattrocento decise di lasciare Firenze per trasferirsi a Milano alla Corte di Ludovico il Moro. Leonardo portò con sé una Lira d’Argento con la quale suonò e cantò di fronte alla Corte milanese suscitando il plauso di tutti gli astanti (l’uomo sapeva veramente far tutto). Per celebrare l’evento dipinse l’immagine di un uomo avvenente che tiene in mano uno spartito sul quale non sono scritti i versi di un canto, ma un acronimo: “Can-An(g)”. Bizzarini ha correttamente notato che il cosiddetto Musico del dipinto non è un musicista né un cantore di professione ma qualcuno che si dilettava con grande capacità nel canto. Il Musico in realtà non è che Leonardo nel suo primo autoritratto; l’acronimo Can Ang deve essere interpretato come Cantor Angelicus, cripticamente riferito a se stesso e pertanto è da considerarsi la sua ermetica firma.

Antonio del Pollaiolo e la Villa di Rusciano
Ancora più ermetiche sono le firme di Antonio del Pollaiolo. Nel suo stemma c’è una corona di fichi flosci denominati badaloni; chi mai in una città dove la maggior parte degli stemmi portano dei leoni avrebbe potuto mettere sul suo stemma dei fichi flosci? Soltanto Antonio del Pollaiolo che voleva enfatizzare il melanconico sfinimento psicologico che preludeva indispensabilmente al raptus dell’ideazione artistica. Ancora da ricordare che, dopo l’impresa di Volterra, la Repubblica Fiorentina donò al Conte di Urbino la Villa di Rusciano a Firenze. Federico di Montefeltro volle fare una grande ristrutturazione della villa, affidando la direzione architettonica ad Antonio del Pollaiolo. Fu edificata una cappella con un frontone del portale che mostrava un fregio con putti alati reggenti l’impresa dello Struzzo del Montefeltro. Per dichiararne la sua paternità Pollaiolo collaborò con Vespasiano da Bisticci alla realizzazione di un manoscritto ordinato da Jacopo Bracciolini per essere donato al Conte di Urbino. Nell’incipit del manoscritto si nota in alto al centro in uno scudo la veduta di Firenze dalla porta a San Miniato, in uscita nella direzione della Villa di Rusciano.

La firma nascosta del Pollaiolo nelle sue opere
Scendendo sul lato destro dell’incipit si trova un’aquila che reclamava l’origine imperiale del privilegio federiciano. Scendendo ancora due putti con dei bastoni in mano (è il richiamo a Ercole l’eroe di riferimento di Antonio del Pollaiolo). Nell’angolo di destra in fondo uno scudo con lo struzzo federiciano. Della cappella è residuato il fregio con lo struzzo sullo scudo come uno stemma, e per questa ragione senza chiodo in bocca e senza scritta. In tal caso Il Montefeltro trasformava un’impresa in uno stemma, a voler significare che la Villa era un bene frutto delle sue conquiste e pertanto fuori dalle mire papali. I quattro piccoli fichi che si trovano in basso ai lati dello scudo del fregio, unitamente ai bastoni in mano ai putti del manoscritto costituiscono di fatto la doppia firma criptata sul fregio.

Fonte : “arttribune” – articolo di Massimo Giontella