a cura della Redazione di “Arte e Cultura”


Un luogo in cui il tempo si è fermato e la vita di persone vissute secoli fa riemerge dinanzi al visitatore. È un viaggio nel passato quello che compie chi varca la soglia del Museo delle Mummie di Ferentillo (in provincia di Terni), piccolo paese della Valnerina, incastonato tra i monti e le foreste dell’Umbria. Nell’antico plesso sono custodite ventiquattro mummie di uomini, donne e bambini, oltre a dieci teste conservate, 270 teschi e due volatili mummificati. Alcuni dei corpi, oltre alla pelle, presentano intatti capelli, barba, denti, in un caso persino gli occhi e i vestiti. I loro particolari, le posture, tutto ciò che di loro ha resistito al tempo, ha permesso di ipotizzare le loro storie. Ci sono i tre soldati francesi arrivati in Italia durante la campagna napoleonica, di cui uno torturato e giustiziato e un altro impiccato come mostra la sua postura e la testa quasi completamente staccata dal corpo; la sposa ragazzina con il suo abito nuziale; la mamma morta di parto deposta con il suo bambino adagiato sul ventre; la coppia di cinesi, probabilmente pellegrini diretti a Roma per il Giubileo del 1750, che hanno trovato a Ferentillo la morte per colera. 

Il ritrovamento delle mummie di Ferentillo  

Le mummie vennero rinvenute all’interno della cripta romanica su cui fu costruita la cinquecentesca Chiesa di Santo Stefano, ai piedi del monte Sant’Angelo lungo la stradina che conduce all’antica rocca pentagonale del precetto. Dal Cinquecento in poi, tutti i defunti del borgo di Precetto vennero inumati qui, fino a quando, nel 1806, l’emanazione dell’Editto  napoleonico di Saint Cloud “Décret Impérial sur les Sépultures”, vietò la sepoltura all’interno delle mura cittadine istituendo i cimiteri extraurbani e ordinò la riesumazione dei corpi custoditi nella cripta. Coloro che vi entrarono per mettere in atto la nuova ordinanza si trovarono di fronte a qualcosa di incredibile: i corpi, perfettamente mantenuti, erano tantissimi, uomini e donne di tutte le età, abitanti di Ferentillo o persone di passaggio che qui avevano trovato la morte. Purtroppo, le condizioni ambientali e, in parte, l’incuria del passato, hanno fatto sì che soltanto venticinque mummie arrivassero ai nostri giorni in buono stato di conservazione. 

Il processo di mummificazione e il museo di Ferentillo 

Il ritrovamento dei corpi, nel corso del tempo, ha suscitato l’interesse di numerosi studiosi. Nel 1887 l’Accademia dei Lincei pubblicò uno studio condotto da due docenti, Carlo Maggiorani e Aliprando Moriggia, i quali arrivarono alla conclusione che il processo di mummificazione è stato possibile grazie al tipo di terra utilizzato, proveniente dai materiali di risulta derivanti dai lavori di realizzazione della chiesa superiore, ricca di silicati di ferro e di allumina, di solfato e nitrati di calcio, magnesio e di ammoniaca, oltre alla ventilazione presente grazie alle tre monofore dell’edificio. Un mix di fattori che ha innescato il processo di conservazione dei tessuti. Dal 1992 le mummie sono conservate in teche di vetro che ne consentono l’esposizione al pubblico. Il piccolo museo, a cui si arriva percorrendo vicoli e scalinate, tra le antiche case di Ferentillo, presenta ancora i suoi tratti originali, l’antico portale d’ingresso, i resti dell’abside e gli affreschi del XIV e del XV secolo. A ridosso dell’ingresso un’antica scritta che fa da monito al visitatore: “Oggi a me, domani a te. Io fui quel che tu sei, tu sarai quel che io sono. Pensa mortal che il tuo fine è questo, e pensa pur, che ciò sarà presto”. 

Fonte : “arttribune” – articolo di Simonetta Palmucci