di Pippo Ferraro


Che giorno triste il 10 aprile del 1970. Per tanti, allora, cinquant’anni fa, fu il giorno in cui finì la gioventù, il giorno in cui ci si risvegliò dal sogno, il giorno in cui finirono davvero gli anni Sessanta, con il loro sogni di rivoluzione, di cambiamento, di bellezza e di meraviglia. Fu il giorno in cui i Beatles, ufficialmente, si sciolsero. “Paul is quitting The Beatles”, scrisse in prima pagina il Daily Mirror, dando il maggior risalto possibile, ricavando la notizia da alcune risposte battute a macchina da McCartney a delle domande di un giornalista del quotidiano, scritte per promuovere l’uscita del suo primo album solista. Se ne andava dai Beatles “per ragioni personali e professionali” e la storia ufficialmente finiva.

I Beatles nei dieci anni precedenti, avevano cambiato il volto dell’intera musica popolare, avevano cambiato la moda, il costume, la politica, la spiritualità, il mercato, avevano portato Timothy Leary a scrivere: “I Beatles sono dei messia. Prototipi di una nuova razza di uomini liberi e gioiosi. Agenti dell’evoluzione inviati da Dio, dotati di misteriosi poteri e in grado di dar vita a una nuova specie di esseri umani”. E invece, come normali esseri umani, avevano litigato e il gruppo, amato da milioni di fan in tutto il mondo, era arrivato al capolinea.

Le cause dello scioglimento? Un po’ come in un romanzo di Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express tanto per essere più precisi, i colpevoli sono tutti (tranne Hercule Poirot ovviamente), ognuno ha dato la sua personale coltellata al corpo beatlesiano contribuendone alla morte, nessuno ha colpito in maniera netta. Colpevole è stato, senza alcun dubbio, John Lennon. “Stavo aspettando un motivo per uscire dai Beatles sin da quando ho recitato in Come ho vinto la guerra. Non avevo il coraggio di farlo”, disse in una storica intervista nel 1980, poco prima della sua scomparsa. Ed è un fatto che, volendo badare alla cronologia degli eventi, che fu lui ad annunciare per primo la sua dipartita dalla band, nel 1969. Quindi potremmo dire, senza ombra di dubbio, che i Beatles finirono quando John lasciò gli altri tre. Anche se lui non rese pubblica la notizia, dietro richiesta di Paul e del manager Allen Klein, c’erano ancora dei dischi in uscita, c’era ancora un film e lavoro da fare. Quindi, tecnicamente parlando, i Beatles erano ancora uniti.

Uniti? Parola grossa, dai tempi del White album le cose non andavano più per il verso giusto, e quello che sopportava di meno la situazione che si era creata (John legato a Yoko e sempre più lontano dagli altri tre, Ringo isolato pur non avendo reali motivi di tensione con nessuno, Paul che tendeva a prendere in mano le redini della band in maniera spesso autoritaria) era George, che oltretutto soffriva della mancanza di reale spazio compositivo, dominato da “duopolio” Lennon & McCartney. Fu lui la causa dello scioglimento? Beh, se volessimo indagare bene dovremmo dire che la parte di responsabilità di George è ampia, il suo “viaggio” interiore e spirituale lo portò ad avere interessi e passioni diverse da quelli degli altri tre, lui fu il primo a trovare altri compagni di viaggio (Ravi Shankar e poi Bob Dylan), era quello più interessato in altri progetti (sia come musicista, due album realizzati nel 1969, sia come produttore), era quello che soffriva maggiormente dello strapotere di McCartney.

La lite, storica, con Paul durante le registrazioni di Let it be resta negli annali. Già, Paul. Lui ha avuto un ruolo non indifferente nella fine, anzi, fu lui, all’insaputa degli altri tre, ad annunciare pubblicamente la fine del gruppo, scatenando la dura reazione di John, George e Ringo (l’aneddoto, mai confermato, di loro tre che vanno a tirare sassate alle finestre di Paul resta leggendario). Fu lui, dunque, a sciogliere ufficialmente il gruppo anche in termini legali, facendo causa agli altri tre per rescindere i contratti che li legavano. E fu lui a separarsi dagli altri quando si trattò di scegliere il nuovo manager del gruppo, quello che avrebbe dovuto sostituire Brian Epstein: Macca voleva il padre di sua moglie Linda, gli altri tre volevano Allen Klein. E fu lui a decidere di far uscire il suo primo album solista prima della pubblicazione di Let it be. Non poco, dunque.

Ma in tanti, per molti anni, hanno considerato che la miccia dell’esplosione del gruppo fosse stata accesa da Yoko Ono. Non c’è dubbio che l’arrivo di Yoko contribuì moltissimo a far cambiare atteggiamento a Lennon nei confronti della band, e la sua onnipresenza nelle registrazioni, nelle riunioni, in ogni occasione in cui i quattro erano insieme, di certo ha contribuito a infrangere la dinamica interna del quartetto che andava avanti da anni. Quindi è “anche” colpa sua.

Come lo è certamente di Linda McCartney, arrivata in scena più o meno contemporaneamente a Yoko, che ha portato Paul in una direzione diversa da quella che i quattro avevano quando le mogli di ognuno avevano poco peso nelle decisioni collettive. Linda spinge Paul verso l’autonomia non meno di quanto Yoko spinge John, e che la sua influenza su Paul venga vista come negativa dagli altri è testimoniata da alcune lettere del 1971 di John che lasciano pochi dubbi.

Tutti colpevoli dunque? Forse no, forse i Beatles, nonostante quello che tutti e tre i principali litiganti, Paul, John e George hanno detto in seguito, non si sarebbero sciolti subito, forse sarebbe accaduto comunque, ma non necessariamente il 10 aprile del 1970. Molti sono i segni che indicano che non tutto era realmente perduto, primo fra tutti un album, Abbey Road, l’ultimo inciso dalla band, pochi mesi prima dello scioglimento, disco perfetto, in cui le quattro anime diventano ancora una volta una, in cui il livello musicale è straordinario e il suono, l’impatto, l’emozione, sono travolgenti. Un album che è fatto da una band coesa e forte, tutt’altro che in dimissioni o “costretta” a lavorare insieme. Poi ci sono le registrazioni, quelle uscite poco tempo fa, ritrovate da Mark Lewisohn, il più accreditato storico e archivista beatlesiano al mondo, realizzate nel settembre 1969, quando ormai i Beatles avevano suonato insieme per l’ultima volta e Abbey Road stava per essere pubblicato.

Ringo Starr era in ospedale e non poteva partecipare alla riunione con gli altri tre negli uffici Apple di Savile Row, a Londra. “Ringo, non puoi essere qui, ma questo è per farti sentire di cosa discutiamo”, disse Lennon accendendo il registratore. E poi Lennon propone agli altri di registrare un nuovo disco, cosa che smentisce la teoria secondo cui tutti fossero d’accordo che Abbey Road sarebbe stato il loro ultimo progetto insieme. Lennon propone un album in cui George fosse alla pari con gli altri, quattro canzoni a testa e due per Starr. Nell’audio John spiega che era giusto il momento di rompere con la “ditta” Lennon-McCartney e di dare a ognuno il suo. Difficile immaginare, dunque, una band in rotta, un gruppo pronto a sciogliersi, il che porta di nuovo verso la conclusione che fu proprio McCartney ad accelerare la dissoluzione della band. Fatto, peraltro, confermato anche dalle collaborazioni che gli altri ebbero tra loro, John, George e Ringo, sono tutti e tre nell’album di Lennon d’esordio uscito nel dicembre del 1970, mentre McCartney è solo con Linda nel suo album solista che esce prima di Let it Be e non c’è nessuno degli altri Beatles anche in Ram uscito nel 1971

Comunque sia andata, chiunque sia il “colpevole”, resta il fatto che cinquanta anni fa la meravigliosa favola beatlesiana vedeva la parola fine. E il mondo perdeva i colori, i suoni, le atmosfere, i sogni, le utopie, i deliri, le follie, le passioni, che i Beatles avevano trasmesso a una intera generazione, gli anni Sessanta sparivano con loro, e tutto da quel momento in poi sarebbe stato molto diverso. Con un vantaggio, però, una fortuna. Quella di poter continuare ad ascoltare i loro dischi, a cantare le loro canzoni, quella di poter capire ancora il messaggio di pace, amore, amicizia, rivoluzione, cambiamento, progresso che i Beatles hanno trasmesso. E trasmettono ancora, perché cinquant’anni dopo la fine della loro storia, la loro musica è ancora viva ed è ancora in grado di emozionare chi la scopre per la prima volta o chi la conosce a memoria e non ne può mai fare a meno.