a cura di Fabio Reggiani


Nel 1952, alla età di 37 anni e già padre di due figli (Paola del 1946 e Marco del 1952) Piccinini lasciò il proprio impiego in Autovox tra l’ altro nel momento di massima espansione della azienda, quando cioè essa si accingeva a trasferire i propri impianti da Via Mondovì, 5 (tra la Via Appia e Piazza Re di Roma) al vastissimo Polo Tecnologico edificato sulla Via Salaria appena fuori dell’ area urbana.

Si trattò di un cambiamento radicale che finì per divenire a tutti gli effetti l’ emblematico atto generativo della sua creatura.
Con le proprie notevoli competenze tecniche e con un capitale di £ 2’900’000 (somma non indifferente per l’ epoca, corrispondente agli odierni € 50’000) l’ Ingegner Piccinini divenne socio del piccolo laboratorio di elettronica denominato F.A.R.T. creato meno di un anno prima, il 10 dicembre 1951, dai Sigg. Boccia e Marcucci in un seminterrato di Via Crescenzio, 48 nel quartiere romano di Prati.
I tre soci durante l’ autunno del 1952 nel nascente quadrante industriale a sud-est di Roma (tra la Via Prenestina e la Via Tiburtina) avviarono la costruzione di un piccolo stabilimento su Via Tor Cervara al civico 300, verosimilmente con il supporto di finanziamenti riconducibili al Piano Marshall. La denominazione F.A.R.T. fu presto mutata in F.A.R.E.T., modifica leggerissima e curiosa dettata dalla esigenza di evitare ambigue allusioni al poco simpatico significato del vocabolo inglese fart.
In effetti la “E.” aggiunta in F.A.R.E.T. non avrebbe dovuto neppure essere puntata poiché nella versione estesa della sigla (Fabbrica Apparecchi Radio e Televisione) quel segno grafico era evidentemente di troppo. Tuttavia il punto lì comparve e rimase con buona pace dei puristi cultori degli acronimi.
La ditta F.A.R.E.T. iniziò a produrre un solo modello di radio portatile a valvole miniaturizzate, il Mod. “Dinghy”, che riscosse un buon successo durante i tre anni di produzione. Indipendentemente dai quattro colori disponibili (avorio, amaranto, blu e verde bottiglia) questo radioricevitore era vistosamente adornato da una modanatura in plastica metallescente sulla quale fece la propria comparsa un marchio nuovo:

VOXSON.

La genitura del marchio VOXSON fu della Signora Primetta Vittoria Boghi, moglie dell’ Ing. Piccinini e donna di cultura classico-umanistica, la quale suggerì al marito quel particolare accostamento di vocaboli di origine latina che sarebbe diventato poi famoso nel mondo.
Al di là della gènesi dei nomi l’ adozione di una marca commerciale a sostegno della scarna ragione sociale della ditta evidenziò da subito il preciso orientamento di marketing adottato da Piccinini sulla base delle proprie pregresse esperienze in Autovox. Stesso dicasi per alcune soluzioni tecniche adottate: tra tutte la “espansione di banda” da onde medie a onde corte e cortissime, una pregevole dotazione di serie che equipaggiò il radioricevitore Mod. “Dinghy” (al contrario del successivo e più spartano Mod. “Record”).
Anche nella veloce espansione territoriale dell’ anno seguente Piccinini mostrò acume e lungimiranza muovendosi nel solco del suo recente passato professionale. In strettissima analogia con l’ esperienza Autovox egli per la prima filiale di rappresentanza scelse Milano, a quell’ epoca autentica “città-vetrina” per la risorta produzione industriale italiana in virtù delle sue celebri Fiere Campionarie di vasta risonanza europea. Con la collaborazione di un uomo dall’ aspetto assai distinto, il Dott. Ettore Marchetti, nel 1953 venne aperta dunque la sede commerciale di Via A. Locatelli, 1 a Milano, un elegante edificio ubicato tra Corso Buenos Aires e la Stazione Centrale. In seguito venne inaugurata una seconda e raffinata sede a Firenze.
Al contrario, l’ iniziale posizionamento tattico impresso da Piccinini in F.A.R.E.T. fu nel segno di una netta discontinuità rispetto al vissuto in Autovox: per quasi cinque anni la produzione di radio venne limitata ai modelli portatili con il preciso obiettivo della progressiva “miniaturizzazione” dei componenti per lo sviluppo di radioricevitori a valvole sempre più compatti e tascabili. Si evitò accuratamente ogni possibile contiguità con il comparto autoradio nel quale Autovox era leader. Ma solo fino al 1957-59.
Piccinini aveva evidentemente idee chiarissime, carisma non comune ed una innata capacità di stratega in àmbito industriale: F.A.R.E.T. doveva innanzi tutto affermarsi nel mercato della radiofonia portatile. Egli avrebbe preteso un assoluto rispetto del ruolino di marcia in ogni sua tappa per candidare infine la azienda, in ossequio alla propria ragione sociale, a primeggiare nel nascente ed avveniristico comparto televisivo che in Italia, esattamente nel 1954, avrebbe avuto origine con l’ istituzione del Primo Canale TV Rai.

Ecco allora che con tanta audacia e facendo leva sull’ unico prodotto disponibile, il Mod. “Dinghy”, la ditta F.A.R.E.T. esordì sulla ribalta della XXXI Fiera Campionaria di Milano.
Era il 15 aprile 1953.

Nel 1954 Piccinini divenne socio di maggioranza: un autentico capitano d’ impresa talentuoso nel progettare, abile nell’ amministrare e soprattutto rigoroso nel decidere.
Lo stabilimento di Tor Cervara oramai a regime portò non solo alla chiusura dell’ originario laboratorio domestico di Via Crescenzio, 48 ma anche alla apertura, sempre a Roma, di una sede commerciale di rappresentanza: Via Monzambano, 9 nel quartiere Castro Pretorio in prossimità della Stazione Termini.
Con acume imprenditoriale e sensibilità politica la compagine societaria venne nel mentre estesa a nuovi soggetti: tra questi il Dott. Marcello Galli (nella mansione di Direttore Ufficio Acquisti), genero dell’ esponente democristiano Giulio Pastore.

Frattanto i prodotti della F.A.R.E.T. aumentarono di numero: al Mod. “Dinghy” vennero affiancati tre apparecchi radio a valvole: il Mod. “Record”, il Mod. “Superdinghy” ed il Mod. “Starlet” dalle dimensioni davvero contenute (sarà l’ antesignano del Mod. “Zephyr”, prima radio portatile a transistor d’ Europa realizzata da VOXSON nel 1957).
Nel 1958, esattamente il 21 luglio, F.A.R.E.T. divenne una S.p.A.: notevole balzo evolutivo per la realtà nata solo sei anni prima nel piccolo laboratorio dei Parioli.
Metà del pacchetto azionario fu da subito detenuto dallo stesso Piccinini.
Nel 1960 I.M.I. (Istituto Mobiliare Italiano, titolare in Italia della gestione del Piano Marshall) erogò un primo finanziamento agevolato per la costruzione della nuova sede di Via Tor Cervara, 286: un progetto per totali 15’500 mq ove unificare stabilimento ed uffici.
Venne chiusa la filiale di Via Monzambano, 9 e solo pro tempore la sede amministrativa fu ospitata in Viale Castro Pretorio, 116.
Nel 1961 fu completata la prima fase di ampliamento per 12’500 mq: il fronte sud adiacente alla linea ferroviaria Roma – Pescara e soprattutto la ammiratissima Torre.

VOXSON iniziò a far parlar di sé anche per ragioni di carattere architettonico: una fabbrica con un aspetto di particolare pregio che irradiava bellezza nella periferia produttiva ad est di Roma imprimendo un cambiamento al concetto stesso di industria.
Nel 1962 fu realizzato l’ ultimo corpo di fabbrica sul fronte-strada per altri 3’000 mq.
L’ intero progetto venne elaborato dal Prof. Ing. Leonardo Del Bufalo.
L’ organizzazione scientifica del cantiere fu curata dall’ Ing. Aldo Ghira il cui figlio Andrea tredici anni dopo sarebbe finito in cronaca nera tra i criminali responsabili del “massacro del Circeo” (30 settembre 1975).